domenica 23 settembre 2012

Il tramonto della meraviglia



La meraviglia  è un’emozione di cui si ha volte pudore: è effimera, superflua, infantile; ancor più nella società dei sensi di colpa, delle religioni perse in schermaglie con le scienze, della razionalità e delle contraddizioni. 
Nella società proibizionista in cui chi teme i gay va a travestiti, chi bandisce le droghe ne fa uso, chi è vegetariano domina col guinzaglio il cane, non v'é ruolo per la natura sfrontata, e per la meraviglia del suo mistero. L’immagine incontrollata di una giraffa in giro per la città è dunque un tabù, che l’epilogo tragico esalta.  Senza lo zelo di anestesisti da film d’azione, sarebbe rimasta strascico imprevisto delle ormai epurate parate estemporanee dei circhi per le strade, attrazione come lo sono ancora i morbosi capannelli dinanzi a qualunque catastrofe urbana.
La meraviglia delle parate e di certi incidenti era un tempo necessaria a capovolgere il nostro grigiore. La bestia in città ci ricordava che le barriere contro natura non erano quelle dove l'uomo convive ancora con l'animale, ma le strade e i palazzi con i quali quella natura abbiamo violato. Certo, qualche pompiere salva ancora i gatti sugli alberi; ma avremmo ancora bisogno che ogni tanto un elefante sfondi un negozio di frutta, o che una Domenica del Corriere trasfiguri fiabescamente un gorilla dentro una chiesa; poiché è meno interessante vivere senza che qualcuno ci forzi, ogni tanto, a mettere in discussione la linearità del nostro vivere e che lo sterco d'elefante dissipi  il tanfo della nostra ipocrisia.
La morte accidentale di un animale altrove da un mattatoio suscita in noi pietas perversamente maggiore di quella per guerre lontane. Se ne giustifica l'errore umano maldestro, ma si rafforza la condanna al tabù dell’animale asservito, espiando secoli di sterminio.
Infatti di fianco a questa società dei sensi di colpa ce n’è da sempre un’altra.
C’è la società dei giullari, della meraviglia e del mistero, quella che non è legata a un territorio  ma che da sempre sta ovunque e supera qualunque ostacolo, trasversale per necessità a ciò che è legittimo e ciò che non lo è. Il nomadismo circense ha perso da tempo pittoreschi strascichi di illegalità, sebbene restino alcuni meccanismi di cultura dell’inganno, affascinanti quanto irritanti, a partire dall’artificio mimetico di quello che più  identifica chiunque: il nome, qui all’infinito declinato, mercificato e rinnegato. Anche per questi misteri identitari il giullare forse non si scrollerà mai l’involucro di diffidenza che ne accompagna l’errare.
Il moderno tabù si morde la coda sorvolando  ippodromi, negozi di acquari o fabbriche di morte come allevamenti e concerie, per lasciare sui circhi l'anatema dello scandalo, con l’arma potente e frettolosa dell’emotività, il suo arsenale di retorica, antropomorfismo e luoghi comuni di etologia da ciclostile, in bilico tra buona fede e secondi fini.
Perché? La risposta è forse che i circensi, non sono considerati parte della società. I giullari sono un atavico corpo estraneo, incontrollabile. Ma necessario. Hanno per natura l’imprevisto, per vocazione la trasgressione dalla realtà, la meraviglia, l’eccesso, il legame ancora estremo con la natura, in una sincerità che abbiamo perso e che forse temiamo. Perciò fa comodo credere ancora che il circo strappi le giraffe alla savana. Perciò il circo va cacciato dalla città, come accadeva con i giullari che dicevano una verità di troppo. Se la città nasconde un omicida, è al circo che si prelevano le prime impronte; se scomparivano i bambini, per secoli al circo li si andavano a cercare.
Il circo è tollerato nel suo messaggio di confusione: dice che viene da Mosca o da Parigi e nessuno saprà mai se é vero. Ma in ciò è l’ultimo avamposto di un valore importante: il dubbio, la messa in discussione della verità. E’ un ruolo sciamanico di inganno, che la società non deve perdere. Se scompariranno la puzza di letame, le facce con centomila chilometri per ogni ruga, le insegne posticce e le fruste, si sarà forse espiata qualche colpa secolare. Ma non si smetterà di disboscare foreste, abbattere elefanti e sfoggiare borsette di giraffa. E la società avrà perso, con il circo, uno degli ultimi suoi legami con la natura, la meraviglia e il mistero.

domenica 20 marzo 2011

I nuovi eredi del "nouveau cirque"

Il sorprendente circo Baro d'Evel, o dei nipotini di Zingaro




Tra i tentativi di definire il "nouveau cirque", si avanzano utopie identitarie quali l'assenza degli animali e quella del tendone. Dimenticando che il movimento non nacque come reazione alla simbologia della tradizione (e mai volle esserlo), ma forse come una sua proiezione poetica.
La forma artistica del "circo contemporaneo", seppur abbia dei contorni precisi, e' oggi oltre la sua terza decade avendo attraversato possibilmente quattro generazioni di artisti.

Il giovanissimo catalano Blai Mateu, diplomato in Francia al Cnac, é il figlio di uno dei grandi pionieri del "nuovo circo": Tortell Poltrona, animatore del magnifico "Circ Cric". Blai, che ha respirato polvere e segatura fin dalla nascita, ha fondato alcuni anni fa il circo Baro d'Evel con la collega di corso Camille Decourtye.


La loro nuova creazione, "Le Sort du Dedans" é magnifica. La interpretano quattro personaggi: un uomo, una donna, un cavallo, un musicista e un contrabasso. Ciascuno con la propria vivace identità, tutti alla continua scoperta di quella altrui, in una incessante e imprevedibile danza concentrica.






Gli elementi necessari al circo ci sono tutti: il virtuosismo acrobatico, il mito del cerchio, la meraviglia del confronto col mondo animale, la musica dal vivo, l'umorismo, la mai definita poesia, la sempre necessaria assurdità.
E anche un magnifico, minuscolo tendone, un'esperienza di arti plastiche stimolante fin dall'ingresso, circondato dalle sue roulottes.
Come i pionieri del rinnovamento, questa ormai quarta generazione del "nuovo circo" non ha voluto rinunciare alle icone ancestrali e spesso indispensabili del circo: come avevano fatto Zingaro, Le Cirque Bidon, Jean Baptiste Thierrée, lo stesso Circ Cric, il primo Cirque du Soleil, Annie Fratellini e Bernhard Paul.

Era ora che arrivassero, finalmente, i nipotini di Bartabas.













martedì 12 ottobre 2010

Vent'anni di "Florilegio" Togni




In un mestiere e un’arte come il circo, universo per definizione ricco di innovazioni, pionieri,invenzioni e stravaganze, è raro poter considerare un’esperienza “rivoluzionaria”. Nel 1990 sembrava ci fosse bisogno proprio di questo. Il circo di tradizione europeo viveva uno stallo evidente; i primi esempi di “nouveau cirque”, pur con grande successo, erano ancora curiose novità, come Archaos o Zingaro; gli stessi circhi “à l’ancienne” sfioravano la soglia della prevedibilità; il Cirque du Soleil doveva ancora incontrare il favore dell’Europa. Al Bois de Boulogne di Parigi, con allegra sfacciataggine, questo tendone italiano arriva dal nulla nella capitale dello spettacolo, e diventa per mesi una tappa di pellegrinaggio da tutto il vecchio continente. Perché? Quello che avevano fatto Livio, Corrado e Davio Togni era la cosa più bella e rara che possa fare l’artista: una sintesi. Una sintesi del proprio vissuto, del proprio sapere antico e della propria curiosità moderna. Una sintesi tra la sincerità di essere se stessi e un gioco scanzonato di finzione, vivendo e simulando al tempo stesso la leggendaria crisi del circo e la celebrazione della sua eterna vitalità genuinamente felliniano, tra il crocefisso e la scorreggia.
In quel momento, e in molti altre serate felici dei successivi venti anni, il Florilegio era il circo piu’ bello del mondo. Poiché era ogni cosa, in un gioco di contrasti fenomenale come un orgasmo, stridente e perfetto: era il circo con gli animali (tanti, superiori alla media) ma non quello delle dive e dei supereroi; era il circo dei velluti e degli stucchi ma con l’accortezza di lasciarci sopra il fascino della polvere; dei clown e degli acrobati, ma di quelli che scappano via prima di prendere gli applausi, quasi sorpresi del loro successo, la loro corsa fuori dalla pista frenata solo da una carica di oche o di elefanti. Senza mai concessioni al retrogusto televisivo, a banalità new age, romanticismi mielosi e ad altri flirt estetici che stanno ormai soffocando lo spirito dei circhi, ma mettendo l’ironia sullo stesso gradino del rigore. Era il circo dei vagoni antichi, tra i piu’ belli mai visti, ma con lo spirito generoso del bricolage, fatti con le mani dei trapezisti e dei giullari.
Non si spiega altrimenti come questo circo, che ti avvolgeva come un film, sia stato quello negli ultimi vent’anni che abbia piu’ incuriosito, piu’ viaggiato con trionfi e disinvoltura in tanti luoghi del mondo. Forse nella stessa epoca, e s’intende con le dovute proporzioni, il Florilegio è stato secondo solo al Cirque du Soleil ( e a esso diametralmente opposto) in quanto a capacità di viaggiare. Sembrano le tappe di un romanzo picaresco d’altri tempi, tanto i luoghi e le culture sono lontane tra loro pur in un mondo globale: Italia, Francia, Belgio, Lussemburgo, Germania, Olanda, Irlanda, Scozia, Turchia, Iran, Algeria, Tunisia, Emirati Arabi, Siria…Vorrei appendermi sul muro, come un trofeo surreale, la ruota colorata di uno di questi camion. Non si contano i circhi, soprattutto in Francia, che hanno visto rilanciare la loro economia grazie all’ispirazione artistica dello “stile Florilegio”. E basta guardare gli chapiteaux dall’Australia all’Argentina per vedere quanto l’intuizione architettonica e gli elementi decorativi dei fratelli Togni abbiano rivoluzionato questo tipo di industria.
Ma prima di questo, il Florilegio va ringraziato per un elemento inestimabile:l’aver rischiato e lavorato sull’umanità profonda del circo, sull’importanza di questa forma di spettacolo nella sua intensità piu’ ancestrale, nei suoi contrasti piu’ forti, esilaranti e terribili, sull’imprecisione che diventa sublime.
Prendendo la realtà e, senza saperlo, trasfigurandola: ovvero, la pura arte.

venerdì 5 marzo 2010

Ursula Bottcher (1927-2009)

La sostenibile leggerezza dell'orso polare





In un mondo in cui l’eroismo per fortuna non corrisponde più al dominio sulla natura, non per questo rifiutiamo di piangere i miti del circo. Nell’aberrazione per la corrida, non possiamo impedirci di ammirare l’arte, il coraggio e la fierezza dei grandi matadores. Così come in quell’ universo di contrasti che è il circo, non può lasciarci indifferente la scomparsa di chi nel suo tempo rese a suo modo sublime la desueta arte del domatore.






Tra le follie della trasformazione coloniale del circo ottocentesco, vi furono gli orsi bianchi. Relativamente docili da addestrare (quanto pericolosi), si scoprì che il loro fascino spettacolare stava nell’accumulazione. Wilhelm Hagenbeck, colui che ne diffuse il culto circense, ne riunì fino a 70 in una gabbia, o 40 a nuotare nella pantomima acquatica “Siberia”, offerta in repertorio all’industria dei grandi circhi stabili dei due continenti all'alba del '900 (ed interpretata da Maria Rasputin, realmente figlia del profeta dei Romanov).


Gli orsi bianchi al circo non esistono più: per fortuna, essendo probabilmente tra i più martoriati animali del tendone, rispetto alle loro esigenze di spazio e caratteristiche climatiche.
Ursula Bottcher, che a Dresda ha lasciato il mondo stamattina, una decina d’anni fa andò in pensione come l’ultima vera gloria di questa rara quanto assurda arte. Tedesca, era entrata nel 1952 al circo di stato della DDR, che compose per lei un gruppo di 11 orsi polari (allieva di Gaston Bosman, ne addestrerà una ventina). Ursula, bionda platino, non più bella di una mascolina operaia sovietica, rendeva spettacolare la sua già piccolissima statura tra i giganti, dando vita con essi ad un numero tra i più incredibili mai visti nel mondo dello spettacolo.





Con la stessa disinvoltura di una signora che accompagna i barboncini a spasso, la si poteva vedere per un quarto d’ora nella gabbia tra questi pericolosissimi titani. Il suo assistente, Manfred Horn, fu sbranato da uno di essi. Il più grande degli orsi, Tromso, misurava tre metri quando in piedi su due zampe si abbassava a prendere un boccone di cibo dalle labbra della minuscola domatrice.








.La vedemmo più volte, nel corso degli anni, in vari circhi. Infatti l’aspetto a nostro avviso più affascinante era la facilità con cui questa specie di micro-esercito du uomini e animali traslocava per il mondo. La potente direzione di Stato della DDR era riuscita a portare il numero di Ursula nei maggiori circhi del pianeta in un tour de force trentennale: dall’Australia agli Usa, dall'Oriente ai maggiori tendoni e palasport europei; da Vienna a Pigalle, (coi carrozzoni delle gabbie a invadere Place de Clichy) da Madrid al Madison Square Garden, collezionando medaglie e trofei: mai vi fu forse metafora migliore dell’itineranza circense.

A Roma apparve nel 1984 grazie al “Golden Circus”, dove ci ricevette nel suo carrozzone (un vero cimelio da guerra fredda, sicuramente microfonato dalla Stasi) autografandoci il poster di una sua recente tournée giapponese. Stipati in una fila interminabile di grossi vagoni di un verde triste, gli undici, magnifici giganti viaggiavano e vivevano in condizioni misere, sebbene non privi di ogni cura

Col crollo del muro di Berlino, essi vennero liquidati col patrimonio di stato della DDR, e dispersi in vari zoo europei. Non sapremo mai se questi orsi furono più a loro agio stipati negli stretti carri dei circhi e nello stress dei viaggi oceanici, condividendo la quotidianità con i loro simili e l’affetto di Ursula, o dispersi nella malinconia solitaria delle ampie vasche e rocce di resina degli zoo.

Ci auguriamo di non vedere mai più orsi bianchi nei circhi. Ma nello stesso tempo compiangeremo le generazioni che non potranno mai provare la nostra meraviglia, e quella dei milioni che hanno applaudito il coraggio di Ursula e i suoi magnifici partner.

lunedì 13 luglio 2009

Per chi é nato artista


Questa sera nella villa Grock di Oneglia (Imperia), il "clown dei clowns" David Larible celebrerà con un proprio recital i 50 anni della scomparsa dello stesso Grock, il più grande clown della storia.
David ha voluto ricordarlo individuando una splendida citazione del leggendario clown, che ci permettiamo di riportare:

"Per chi è nato artista niente è impossibile.
La concezione della vita che ci siamo formati noi artisti è semplicissima: in tutto, sopra tutto, domina la volontà.
Ho visto sessantenni lanciarsi nel salto della morte con la stessa energia di un ventenne.
La volontà fa la nostra felicità e il nostro tormento.
Un attore si può ammalare e disdire all'ultimo momento: di norma c'è un sostituto a sua disposizione.
Ma un artista non si può ammalare nessuno lo può sostituire, perchè quello che lui dà, nessun altro lo può dare.
E' questo il suo segreto e lo tradisce una volta sola. L'artista tradisce questo segreto esclusivamente per un motivo: la morte.

Grock



sabato 4 luglio 2009

Passaggio di testimone




Il Cirque du Soleil a Mosca: ovvero, da un impero circense all'altro

Il Cirque du Soleil, oltre alle sempre nuove produzioni, da qualche anno si distingue anche per la realizzazione di eventi speciali per cerimonie, inaugurazioni, etc. Tra queste sono particolarmente interessanti le apparizioni speciali televisive: vere e proprie mini-produzioni di pochi minuti, che modernizzano l'antichissimo concetto circense di parata e "charivari".
L'ultima di queste realizzazioni è stata, il mese scorso, l'apertura della serata del concorso canoro Eurovisione, tenutosi quest'anno a Mosca. Con il doppio obiettivo di celebrare l'imminente primo arrivo di uno spettacolo del Soleil nella capitale russa. Ecco nel video seguente cosa la multinazionale canadese ha preparato per la città che per oltre un secolo ha rappresentato il tempio dell'arte circense. Il Cirque du Soleil deve moltissimo alla filosofia circense ex-sovietica: alle sue tecniche, ai suoi coreografi, registi ed acrobati che per un trentennio hanno contribuito a costruirne l'estetica. E il circo sovietico, con le sue compagnie continuamente sparse per il mondo, é stato il modello circense più visto sul pianeta, proprio come oggi sta accadendo con il Cirque du Soleil.
Il video di questa esibizione, dinanzi al pubblico dei nuovi giovani russi, ci sembra perciò quasi un passaggio di testimone: dall'impero circense del secolo scorso a quello di oggi...

Il Cirque du Soleil presenterà "Varekai" allo stadio Luzhniki di Mosca a partire dal 23 Ottobre 2009.

mercoledì 25 marzo 2009

Arrivederci RAIN


RAIN, quarta produzione del canadese Cirque Eloize, conclude oggi a Torino il suo breve tour italiano, dopo aver visitato Trieste, Bergamo e con grande successo il Piccolo Teatro di Milano.
Lo spettacolo, che ha già visitato mezzo mondo, proseguirà il suo giro in Spagna e Francia.
Con tre produzioni in giro per il mondo, Eloize é oggi probabilmente la compagnia di spettacolo con la presenza più capillare attraverso i cinque continenti.