venerdì 28 novembre 2008

Divoris Causa

Ovvero, le ragioni del tacchino.





Ieri per gli americani era il Giorno del Ringraziamento: quello in cui ogni brava famiglia ammazza il tacchino. Per una bizzarra concidenza, mi trovavo a Girona, per il magnifico festival teatrale Temporada Alta, alla prima di “Divoris Causa”, un delizioso spettacolo di teatro-circo i cui interpreti sono un uomo, una donna e proprio un tacchino. Vivo. Al circo si e’ visto di tutto, dalle pulci ai canguri, ma credo mai un tacchino. I personaggi erano due cuochi, che con coltelli di ogni foggia e dimensione cucinavano in pista verdure tra virtuosismi vari, col tacchino che andava in giro. Il tacchino partecipava ai numeri di clownerie e di equilibrismo, e pareva a tratti perfettamente addestrato.
Ci si chiedeva a che punto della serata lo avessero ammazzato e cucinato dinanzi ai nostri occhi. Questo alla fine non e’ accaduto, e non accadra’ mai. Quel tacchino e’ un animale di spettacolo, piegato si’ alla volonta’ umana ma in questo caso ad una buffa estetica vegetariana, alle esigenze di una tragicommedia in cui il confine tra sfruttamento di spettacolo e utilizzo alimentare e’ giocato con un gusto intrigante.

Gli uomini si rapportano alle cose che non hanno creato essi (“la natura”) con una percezione quasi mai reale. Il senso di colpa della nostra specie ci impone un “rispetto” della natura che a seconda dei casi si trova comodo trasgredire. Il politicamente corretto del resto e’ contraddittorio come tutte le religioni. In un mondo di “diversamente abili”, “persone colorate”, “operatori ecologici”, “verticalmente differenti” e “sessualmente orientati”, il mondo dello spettacolo e del meraviglioso e’ stato il primo a farne le spese. Il circo ha sacrificato ormai da tempo i freaks e i mostri di natura, senza che la societa’ risolvesse altrimenti la loro inevitabile emarginazione. I circensi stessi hanno pudicamente tentato di sostituire la definizione di “domatore”, ricca di mito e necessaria crudelta’, con quella piu’ innocua e povera di “addestratore”.

Quel tacchino in pista, la sua inconsapevole complicita’ scenica con due cuochi sadici, a me ha risvegliato tutta la meraviglia del circo. Convincendomi che la nostra epoca ha bisogno piu’ che mai di meraviglia. Io credo che abbiamo bisogno di tenere delle tigri nella gabbia in cui sono nate da quattro generazioni, costrette ad apprendere esercizi decisi da noi perche’ qualcuno possa subirne la vista e l’odore a pochi metri, soprattutto per i bambini, la cui alternativa e’ la playstation. Cosi’ come abbiamo bisogno di celebrazioni ancora piu’ orride come il Palio di Siena, o di imporre traumi violenti ai cavalli per farci vincere i soldi alle corse, di tenere un pesce in una bolla d’acqua per il resto dei suoi giorni, ammazzare il maiale in campagna e bollire ancora in vita l’aragosta e le lumache, di costringere a vita un cane tra il martirio di un appartamento e quello di un guinzaglio, di massacrare orde di bovini per portare i nostri figli da McDonald. Ci serve: siamo gli umani, sono i nostri rituali. E’ l’uomo non sopravvive senza rito. Potremmo, per legge, eliminarne ogni tanto uno a mo’ di lavacro della nostra coscienza. In nome della polis e dell’ethos. Ma inevitabilmente resteranno tutti gli altri riti.

Forse un giorno qualcuno imporra’ a quei due splendidi artisti che ho visto ieri sera che e’ politicamente scorretto far esibire il loro tacchino. Ma nessuno forse imporra’ mai al macellaio a cui saranno costretti a venderlo di non farne un pranzo di Natale.



Lo spettacolo che ho visto e’: Divoris Causa. Di e con Jordi Aspa, Bet Miralta e un magnifico tacchino anonimo. Era la prima europea, e auguriamo loro una fortunata tournee'. Anche in Italia, se il loro lavoro non dovesse nel frattempo diventare illegale.

Compagnia Circ Escarlata. www.escarlata.com

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