venerdì 5 marzo 2010

Ursula Bottcher (1927-2009)

La sostenibile leggerezza dell'orso polare





In un mondo in cui l’eroismo per fortuna non corrisponde più al dominio sulla natura, non per questo rifiutiamo di piangere i miti del circo. Nell’aberrazione per la corrida, non possiamo impedirci di ammirare l’arte, il coraggio e la fierezza dei grandi matadores. Così come in quell’ universo di contrasti che è il circo, non può lasciarci indifferente la scomparsa di chi nel suo tempo rese a suo modo sublime la desueta arte del domatore.






Tra le follie della trasformazione coloniale del circo ottocentesco, vi furono gli orsi bianchi. Relativamente docili da addestrare (quanto pericolosi), si scoprì che il loro fascino spettacolare stava nell’accumulazione. Wilhelm Hagenbeck, colui che ne diffuse il culto circense, ne riunì fino a 70 in una gabbia, o 40 a nuotare nella pantomima acquatica “Siberia”, offerta in repertorio all’industria dei grandi circhi stabili dei due continenti all'alba del '900 (ed interpretata da Maria Rasputin, realmente figlia del profeta dei Romanov).


Gli orsi bianchi al circo non esistono più: per fortuna, essendo probabilmente tra i più martoriati animali del tendone, rispetto alle loro esigenze di spazio e caratteristiche climatiche.
Ursula Bottcher, che a Dresda ha lasciato il mondo stamattina, una decina d’anni fa andò in pensione come l’ultima vera gloria di questa rara quanto assurda arte. Tedesca, era entrata nel 1952 al circo di stato della DDR, che compose per lei un gruppo di 11 orsi polari (allieva di Gaston Bosman, ne addestrerà una ventina). Ursula, bionda platino, non più bella di una mascolina operaia sovietica, rendeva spettacolare la sua già piccolissima statura tra i giganti, dando vita con essi ad un numero tra i più incredibili mai visti nel mondo dello spettacolo.





Con la stessa disinvoltura di una signora che accompagna i barboncini a spasso, la si poteva vedere per un quarto d’ora nella gabbia tra questi pericolosissimi titani. Il suo assistente, Manfred Horn, fu sbranato da uno di essi. Il più grande degli orsi, Tromso, misurava tre metri quando in piedi su due zampe si abbassava a prendere un boccone di cibo dalle labbra della minuscola domatrice.








.La vedemmo più volte, nel corso degli anni, in vari circhi. Infatti l’aspetto a nostro avviso più affascinante era la facilità con cui questa specie di micro-esercito du uomini e animali traslocava per il mondo. La potente direzione di Stato della DDR era riuscita a portare il numero di Ursula nei maggiori circhi del pianeta in un tour de force trentennale: dall’Australia agli Usa, dall'Oriente ai maggiori tendoni e palasport europei; da Vienna a Pigalle, (coi carrozzoni delle gabbie a invadere Place de Clichy) da Madrid al Madison Square Garden, collezionando medaglie e trofei: mai vi fu forse metafora migliore dell’itineranza circense.

A Roma apparve nel 1984 grazie al “Golden Circus”, dove ci ricevette nel suo carrozzone (un vero cimelio da guerra fredda, sicuramente microfonato dalla Stasi) autografandoci il poster di una sua recente tournée giapponese. Stipati in una fila interminabile di grossi vagoni di un verde triste, gli undici, magnifici giganti viaggiavano e vivevano in condizioni misere, sebbene non privi di ogni cura

Col crollo del muro di Berlino, essi vennero liquidati col patrimonio di stato della DDR, e dispersi in vari zoo europei. Non sapremo mai se questi orsi furono più a loro agio stipati negli stretti carri dei circhi e nello stress dei viaggi oceanici, condividendo la quotidianità con i loro simili e l’affetto di Ursula, o dispersi nella malinconia solitaria delle ampie vasche e rocce di resina degli zoo.

Ci auguriamo di non vedere mai più orsi bianchi nei circhi. Ma nello stesso tempo compiangeremo le generazioni che non potranno mai provare la nostra meraviglia, e quella dei milioni che hanno applaudito il coraggio di Ursula e i suoi magnifici partner.

lunedì 13 luglio 2009

Per chi é nato artista


Questa sera nella villa Grock di Oneglia (Imperia), il "clown dei clowns" David Larible celebrerà con un proprio recital i 50 anni della scomparsa dello stesso Grock, il più grande clown della storia.
David ha voluto ricordarlo individuando una splendida citazione del leggendario clown, che ci permettiamo di riportare:

"Per chi è nato artista niente è impossibile.
La concezione della vita che ci siamo formati noi artisti è semplicissima: in tutto, sopra tutto, domina la volontà.
Ho visto sessantenni lanciarsi nel salto della morte con la stessa energia di un ventenne.
La volontà fa la nostra felicità e il nostro tormento.
Un attore si può ammalare e disdire all'ultimo momento: di norma c'è un sostituto a sua disposizione.
Ma un artista non si può ammalare nessuno lo può sostituire, perchè quello che lui dà, nessun altro lo può dare.
E' questo il suo segreto e lo tradisce una volta sola. L'artista tradisce questo segreto esclusivamente per un motivo: la morte.

Grock



sabato 4 luglio 2009

Passaggio di testimone




Il Cirque du Soleil a Mosca: ovvero, da un impero circense all'altro

Il Cirque du Soleil, oltre alle sempre nuove produzioni, da qualche anno si distingue anche per la realizzazione di eventi speciali per cerimonie, inaugurazioni, etc. Tra queste sono particolarmente interessanti le apparizioni speciali televisive: vere e proprie mini-produzioni di pochi minuti, che modernizzano l'antichissimo concetto circense di parata e "charivari".
L'ultima di queste realizzazioni è stata, il mese scorso, l'apertura della serata del concorso canoro Eurovisione, tenutosi quest'anno a Mosca. Con il doppio obiettivo di celebrare l'imminente primo arrivo di uno spettacolo del Soleil nella capitale russa. Ecco nel video seguente cosa la multinazionale canadese ha preparato per la città che per oltre un secolo ha rappresentato il tempio dell'arte circense. Il Cirque du Soleil deve moltissimo alla filosofia circense ex-sovietica: alle sue tecniche, ai suoi coreografi, registi ed acrobati che per un trentennio hanno contribuito a costruirne l'estetica. E il circo sovietico, con le sue compagnie continuamente sparse per il mondo, é stato il modello circense più visto sul pianeta, proprio come oggi sta accadendo con il Cirque du Soleil.
Il video di questa esibizione, dinanzi al pubblico dei nuovi giovani russi, ci sembra perciò quasi un passaggio di testimone: dall'impero circense del secolo scorso a quello di oggi...

Il Cirque du Soleil presenterà "Varekai" allo stadio Luzhniki di Mosca a partire dal 23 Ottobre 2009.

mercoledì 25 marzo 2009

Arrivederci RAIN


RAIN, quarta produzione del canadese Cirque Eloize, conclude oggi a Torino il suo breve tour italiano, dopo aver visitato Trieste, Bergamo e con grande successo il Piccolo Teatro di Milano.
Lo spettacolo, che ha già visitato mezzo mondo, proseguirà il suo giro in Spagna e Francia.
Con tre produzioni in giro per il mondo, Eloize é oggi probabilmente la compagnia di spettacolo con la presenza più capillare attraverso i cinque continenti.


martedì 24 febbraio 2009

Se il circo é bello come un crimine





Il film Man On Wire (James Marsh, 2008) ha vinto l’altro ieri l’Academy Award come miglior documentario. Si tratta della ricostruzione della leggendaria impresa di Philippe Petit, il funambolo-filosofo che il 4 Agosto del 1974 attraversò illegalmente un filo da lui teso, senza rete, tra le cime delle torri del World Trade Center di Manhattan. Musicato da Michael Nyman, il film arriva agli Oscar dopo una montagna di altri premi, e nella classifica tra le dieci opere più apprezzate dalla critica americana nel 2008.



Uno degli slogan del film è : “il crimine artistico più famoso del secolo”. E in effetti il circo, per sua natura, stupisce e coinvolge quando è un crimine, quando sovverte nel profondo tutto ciò che è normale.
Una volta i buffoni, i prestigiatori e gli acrobati erano illegali per definizione, venivano seppelliti a testa in giù fuori delle mura. Philippe Petit oltre ad essere un funambolo clandestino, è un artista e un teorico del “pickpocket”, l’arte di rubare i portafogli a fini di spettacolo.


Il circo parla della morte, dei contrasti, delle cose e degli esseri estremi. E oggi ci riesce sempre di meno. In quali casi il circo oggi può essere definito bello come un crimine? Difficile. Forse non nei pur magnifici spettacoli del Cirque du Soleil, in cui la sicura bellezza è più vicina alla normalità rassicurante del grande teatro musicale, che non allo stupore della trasgressione. Non certo nella stanca routine di molto circo tradizionale, spesso altrettanto autocelebrativa quanto molto “nouveau cirque” intellettuale, anch'esso ormai poco "criminale". Quella che era una vera rottura col mondo normale è oggi ostaggio del politicamente corretto, idea di cui sono già stati vittime i mostri e i freaks di natura, spariti sotto la bandiera dell’”integrazione sociale”.
Il circo non è uno spettacolo che si possa integrare. Il circo deve essere estremo, violento, deve essere lo schiaffo di una sera verso la vita normale, vibrante come lo schiocco di una frusta. Deve essere un pugno nello stomaco che per due ore ti sbatte fuori dalla quotidianità, come l’impatto dell’acrobata quando cade dalla colonna umana. Deve essere un’esperienza forte come la folata di vento che rischia di spostare il funambolo tra le due torri e succhiarlo via dal mondo in un istante; intensa come il piscio caldo dell’elefante di cui oggi si ha ormai paura. Deve essere duro, tanto da far sentire il rumore dei calli spaccati sulla barra del trapezio nel silenzio che chiude il salto mortale nel vuoto. Deve essere capace di alzare la polvere come le tende di velluto, al tempo stesso trionfali e logore. Il circo deve puzzare di merda. La stessa merda che il minuscolo e fragile funambolo Philippe Petit aveva rovesciato in pochi minuti sulla gloria titanica delle effimere torri.

Il circo rischia oggi di perdere la sua bellezza estrema di crimine artistico, schiavo forse di un mondo sempre più asettico.
C’è un famoso precedente del circo vincitore di un Oscar: “Il Più Grande Spettacolo del Mondo” (C.B.De Mille, 1952). Era l’epopea del Ringling Barnum, il più grande circo viaggiante del mondo. Quasi tre ore di technicolor impastato di fango, ruggiti, fiamme, sfide acrobatiche estreme, inganni da fiera, nell’epopea di un impossibile ma vero cantiere viaggiante. Anche in quel caso il circo vinceva per l’enormità del suo patrimonio "criminale" rispetto alle leggi quotidiane, quasi l’ultimo epico baluardo al mondo allo stesso tempo della bibbia, della pirateria, del carnevale e della guerra. E un anno dopo quel film, quel mondo era scomparso per sempre.
Speriamo invece che “Man on Wire” (si spera presto visibile in Italia) possa essere un ispirazione per chi fa circo verso quello che più manca: il rischio artistico, il gusto del crimine.


A camminare nel vuoto, se ci si crede veramente, non è detto che ci si debba lasciare per forza la pelle.

Anzi.





venerdì 6 febbraio 2009

Da non perdere




Lo svizzero Dimitri é il decano dei nuovi clown e tra i maestri più stimati del dopoguerra. I suoi figli, dotati di un immenso talento arobatico, mimico e musicale, sono passati sulle piste dei più celebri circhi del mondo.
Oggi clown Dimitri, Masha Dimitri, Nina Dimitri, David Dimitri, Kai Leclerc Dimitri portano in giro lo spettacolo "La Famiglia Dimitri", una specie di scatola di sorprese con tutto quello che sanno fare.




Questo week end (7 e 8 Febbraio) lo spettacolo va in scena a Lugano (al Palazzo dei Congressi) prima di partire per New York.




sabato 17 gennaio 2009

Il Sole 24 Ore - (8 Gennaio 2009)

Ragazzi, che circo

di Antonio Audino

E’ un volume davvero prezioso quello dedicato alla Storia del Circo da Raffae­le De Ritis, proprio perché scrit­to da un personaggio che unisce la sua esperienza con le troupe più importanti del mondo, dal Cirque du Soleil al Barnum, con uno scrupolo di studioso atten­to e metodico.

Dunque il libro non nasce sol­tanto da uno sguardo capace di entrare nelle ragioni pin profon­de della creatività circense, ma anche da minuziose ricerche in biblioteche e archivi di vari Pae­si e di incontri con esperti, stori­ci, artisti. Sono necessarie, quin­di, quasi seicento pagine dal tono brillantissimo e acuto, affolla­te di rare e sorprendenti illustra­zioni per ricomporre il lunghissi­mo cammino delle arti della pi­sta, partendo addirittura dall'era neolitica, momento in cui l'auto­re colloca il passaggio dalla ritua­lità allo spettacolo, col nascere di società stanziali, e col bisogno di creare momenti di raffigura­zione simbolica del lavoro quoti­diano ma anche del rapporto tra cielo e terra, tra divino e umano.

Nel suo percorso De Ritis con­fronta scuole diverse come quel­la cinese o la russa, accosta artisti e tecniche, invenzioni e fantasie, e lo fa tenendo compresenti molti aspetti, da quelli figurativi alla di­mensione della relazione spazia­le con lo spettatore per arrivare a territori di analisi estremamente attuali come l'uso del corpo. Tut­ta la storia del mondo, dunque, sembra passare sotto il tendone, cosi come il volume ci ricorda, e se il '68 rivaluterà acrobati e clown come segno di libertà, do­po la crisi degli anni Ottanta e pro­prio in anni recenti e massmedia­lizzati sara proprio il circo a inven­tare linee di riflessione pin vicine alla nostra confusa quotidianità.

Raffaele De Ritis, Storia del Circo Bulzoni, Roma, pagg. 600, € 47,00.