L’ultima vera emozione da me provata al circo risale ad una decina di anni fa. Non è avvenuta sotto uno dei più grandi tendoni del mondo, ma sotto una tela minuscola piena di sedie di plastica su un parcheggio d’asfalto. Non c’era neanche la pista, sostituita da uno di quei camion col palco davanti che si usano nelle fiere per vendere i casalinghi di second’ordine.
Dopo meno un’ora di qualche numeretto “d’arte varia”, era la volta dell’attrazione annunciata dai manifesti, per la quale tutti noi, pur avendo pagato cinquemila lire, eravamo scettici. Ma ora la promessa sembrava mantenuta. Tirata una tela, si fa buio dalle semplici lampade al quarzo, e appare la vasca dei piranha. Che ci sono veramente. Nel’oscurità, questo piccolo rettangolo illuminato da dietro da un qualche neon verdastro, sbilancia le sicurezze che abbiamo rispetto alla prevedibilità di uno spettacolo. E’ un’astrazione strana; sappiamo che quell’immagine rappresenta un passaporto verso l’irreale, che in qualche modo vale già il prezzo del biglietto. Al buio quella teca sembra il reliquiario di una religione cruda ed estinta; la vetrina di
un negozio mai esistito di regali ingenui a metà prezzo; la finestra verso un universo sublime e incosciente.
Una molesta musica, stridente e roboante, ci aiuta a godere l’istante di spiazzante disagio. E i piranha ci sono veramente. Non sono né grandi né piccoli. Né tanti, né pochi. Rispetto ai meccanismi dell’immaginario, per la prima volta al circo sembra che una cosa è veramente come ce l’aspettiamo. E adesso ci emozioniamo a pensare se, ora, veramente qualcuno ci si possa tuffare dentro. Inizia poi la meravigliosa litania dell’imbonitore. Non me la ricordo, ma la drammaturgia è perfetta, nella precisa, barnumiana e necessaria ignoranza di ogni principio scientifico ma con la stessa dignità di erudizione di un premio Nobel. Poi, a corollario di un discorso sulla ferocia di questi predatori, accade una cosa inaspettata e straordinaria. Viene introdotto ai nostri occhi un enorme osso, forse di prosciutto, gravido di brandelli di carne. Vi viene legato un altrettanto sozzo mozzicone di spago, e questa leccornia per avvoltoi viene lentamente calata nella bizzarra bara. Da quella sera, nessun film chiederà mai ai miei occhi di cancellare l’immagine dei piranha avventati in meno di un secondo su quelle putride membra. Poi, lo spago con l’osso viene ritirato.
Viene finalmente introdotta la ragazza in costume da bagno. Non particolarmente bella, tantomeno sexy. Ne viene detto anche il nome, o forse. Ma l’enfasi non è sull’”artista”, che è piuttosto strumento, mero mezzo sacrificale del rito circense. Tantomeno sull’impresa umana. L’enfasi è piuttosto sull’evento, sul rito stesso appunto.
La ragazza non è una superstar dalle particolari virtù, una regina del trapezio o una dominatrice di belve. Appare anzi essere intercambiabile, come il bersaglio del lanciatore di coltelli o quella che prende fuoco nella cassa del mago. Una di quelle che, se domani viene divorata, ce n’è sempre un’altra che sbarca ad accontentarsi delle mie cinquemila lire che le bastano e avanzano per mangiare.Ma non verrà divorata, né oggi né mai. Si tuffa nella vasca. Non fa nulla di particolare per difendersi, e del resto nessuno dei pesci sembra aver intenzione di minacciarla. Ora scopriamo che il nostro interesse è conservato dall’immagine ancora viva del prosciutto. I piranha non le fanno nulla. Come nella fase finale di ogni buon numero di magia, pensiamo ormai ad un qualche trucco, seppur l’immagine è di un certo effetto. A differenza dei manifesti, l’insieme ci evoca più una stanca routine di pesca da ristorante che scenari tropicali di terrore: ma fa sempre un certo effetto vedere per la prima e forse unica volta nella propria vita una persona immersa tra veri piranha, quelli che da piccoli vedevamo solo disegnati nelle figurine spolpare un bufalo in un minuto.
Poi lo spettacolo finisce. E noi siamo soddisfatti. Ci conforta sapere, in un mondo di televisione banale, di teatro presuntuoso, di cinema ripetitivo e di circo prevedibile, che esistono ancora i fenomeni. Che nei parcheggi c’è ancora spazio per gli imbonitori. Che forse non sono sparite del tutto le donne gorilla, i sublimi raggiri dei rettilari e le raggrinzite balene impagliate. Ci conforta sapere che sopravvivono professioni dell’inganno senza la sofisticazione della politica o della grande industria. Pensiamo alla sottile scienza del raggiro sfrontato, che da secoli ci sa condurre in un percorso emotivo di trucchi e inganni che quella sera ci ha saputo stupire. Rigenerandoci rispetto ai meccanismi della realtà; corroborando le nostre troppe sicurezze con qualche insicurezza nella diatriba tra vero e falso. Regalandoci per una volta, in luogo della scienza, gli aspetti più grotteschi di un’analfabeta criptozoologia. A volte sembra che l’ignoranza verso i meccanismi di funzionamento della società, l’incoscienza verso l’etica, siano i paradossali punti di forza, senso e sopravvivenza del vecchio circo, base dei suoi valori.
Il vecchio circo è a noi ancora necessario quanto il campionario delle tante e disparate cose anacronistiche quali i santi, i chiromanti, le feste di paese, la crudeltà del tifo sportivo. Ciascuno di noi, ogni volta che esce da quello e da qualunque circo, non ha forse l’opinione migliore di quelli che hanno sfruttato il nostro tempo pur soddisfandoci. Sapendo noi che per soddisfarci, non è detto vadano per il sottile nell’occuparsi di piranha, tigri o elefanti. Sapendo noi che il perpetrare tali tradizioni si basa su un concetto di proprietà materiale e dominio antico, che copre allo stesso modo il camion-acquario, gli animali e le persone. Ma per la nostra civiltà della perfezione, tutto ciò è necessario, con il suo odore di piscio e nafta, con il suo avvolgente erotismo d’accatto.
Il circo resta lo spettacolo delle crudeltà inflitte. In un mondo finalmente regolato da diritti umani e animali, senso dell’ambiente, normative del lavoro, il circo è forse tra gli ultimi paradisi della crudeltà. L’ultimo avamposto sul pianeta dove per mestiere si rischia deliberatamente la propria vita. Dove il dominio può essere ancora selvaggio, intollerabile.
Ma se vogliamo vedere il leone in gabbia o l’acrobata cinese dobbiamo accettarne, però senza scusarle, le necessarie crudeltà, qualunque ne sia il livello a cui esse possano arrivare nel circo. Sta a ciascuno di noi sceglierle se condannarle accettandole o rifiutarle auspicandone l’estinzione.
Crudeltà che sono il prezzo da pagare per noi donne e uomini normali quando vogliamo, perché le vorremo ancora e sempre, le emozioni più crude, primarie e indefinite che ci portiamo dietro dal giorno della creazione. Ammesso che sia esistito prima un Eden in cui tutte le creature vivevano in pace.
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