mercoledì 24 dicembre 2008

Barnum in Italia: Autunno 2009

venerdì 28 novembre 2008

Divoris Causa

Ovvero, le ragioni del tacchino.





Ieri per gli americani era il Giorno del Ringraziamento: quello in cui ogni brava famiglia ammazza il tacchino. Per una bizzarra concidenza, mi trovavo a Girona, per il magnifico festival teatrale Temporada Alta, alla prima di “Divoris Causa”, un delizioso spettacolo di teatro-circo i cui interpreti sono un uomo, una donna e proprio un tacchino. Vivo. Al circo si e’ visto di tutto, dalle pulci ai canguri, ma credo mai un tacchino. I personaggi erano due cuochi, che con coltelli di ogni foggia e dimensione cucinavano in pista verdure tra virtuosismi vari, col tacchino che andava in giro. Il tacchino partecipava ai numeri di clownerie e di equilibrismo, e pareva a tratti perfettamente addestrato.
Ci si chiedeva a che punto della serata lo avessero ammazzato e cucinato dinanzi ai nostri occhi. Questo alla fine non e’ accaduto, e non accadra’ mai. Quel tacchino e’ un animale di spettacolo, piegato si’ alla volonta’ umana ma in questo caso ad una buffa estetica vegetariana, alle esigenze di una tragicommedia in cui il confine tra sfruttamento di spettacolo e utilizzo alimentare e’ giocato con un gusto intrigante.

Gli uomini si rapportano alle cose che non hanno creato essi (“la natura”) con una percezione quasi mai reale. Il senso di colpa della nostra specie ci impone un “rispetto” della natura che a seconda dei casi si trova comodo trasgredire. Il politicamente corretto del resto e’ contraddittorio come tutte le religioni. In un mondo di “diversamente abili”, “persone colorate”, “operatori ecologici”, “verticalmente differenti” e “sessualmente orientati”, il mondo dello spettacolo e del meraviglioso e’ stato il primo a farne le spese. Il circo ha sacrificato ormai da tempo i freaks e i mostri di natura, senza che la societa’ risolvesse altrimenti la loro inevitabile emarginazione. I circensi stessi hanno pudicamente tentato di sostituire la definizione di “domatore”, ricca di mito e necessaria crudelta’, con quella piu’ innocua e povera di “addestratore”.

Quel tacchino in pista, la sua inconsapevole complicita’ scenica con due cuochi sadici, a me ha risvegliato tutta la meraviglia del circo. Convincendomi che la nostra epoca ha bisogno piu’ che mai di meraviglia. Io credo che abbiamo bisogno di tenere delle tigri nella gabbia in cui sono nate da quattro generazioni, costrette ad apprendere esercizi decisi da noi perche’ qualcuno possa subirne la vista e l’odore a pochi metri, soprattutto per i bambini, la cui alternativa e’ la playstation. Cosi’ come abbiamo bisogno di celebrazioni ancora piu’ orride come il Palio di Siena, o di imporre traumi violenti ai cavalli per farci vincere i soldi alle corse, di tenere un pesce in una bolla d’acqua per il resto dei suoi giorni, ammazzare il maiale in campagna e bollire ancora in vita l’aragosta e le lumache, di costringere a vita un cane tra il martirio di un appartamento e quello di un guinzaglio, di massacrare orde di bovini per portare i nostri figli da McDonald. Ci serve: siamo gli umani, sono i nostri rituali. E’ l’uomo non sopravvive senza rito. Potremmo, per legge, eliminarne ogni tanto uno a mo’ di lavacro della nostra coscienza. In nome della polis e dell’ethos. Ma inevitabilmente resteranno tutti gli altri riti.

Forse un giorno qualcuno imporra’ a quei due splendidi artisti che ho visto ieri sera che e’ politicamente scorretto far esibire il loro tacchino. Ma nessuno forse imporra’ mai al macellaio a cui saranno costretti a venderlo di non farne un pranzo di Natale.



Lo spettacolo che ho visto e’: Divoris Causa. Di e con Jordi Aspa, Bet Miralta e un magnifico tacchino anonimo. Era la prima europea, e auguriamo loro una fortunata tournee'. Anche in Italia, se il loro lavoro non dovesse nel frattempo diventare illegale.

Compagnia Circ Escarlata. www.escarlata.com

venerdì 21 novembre 2008

Per una definizione di “circo”

Se si dovesse scrivere oggi in un dizionario la definizione di circo, quale sarebbe quella piu’ appropriata? 

Tentiamo la nostra: 

Uno spettacolo dal vivo articolato in varie esibizioni di abilità fisica, detti numeri, svolto generalmente in una pista circolare, ma anche diffusamente, nel corso dei secoli come nel panorama attuale, su una scena frontale. Gli spettacoli del circo hanno luogo sotto il tendone, in appositi edifici (circhi stabili), così come all'aperto o in sale teatrali regolari.
Le esibizioni rispondono a categorie di base (peraltro flessibili e combinabili) quali numeri aerei, acrobazia ed equilibrismo al suolo, giocoleria, comicità eccentrica e arte del clown, addestramento di animali e arte equestre, esibizioni di rischio.

Nella sua forma tradizionale novecentesca, il circo, definito nella lingua italiana anche circo equestre, si distingue per la caratteristica di comunità itinerante e per l'appartenenza dinastica dei propri componenti. Alla fine del XIX Secolo, con la definizione di nuovo circo si è legittimato il proliferare di numerose compagnie e spettacoli di provenienza e stile diversi dalla trasmissione familiare.

Più complesso é definire la sua declinazione "contemporanea". Tentiamo anche questo: Il cosiddetto "nouveau cirque" si basa sulle discipline classiche dell’arte circense (acrobazia, giocoleria, clown, arte equestre, arti aeree, etc.), destituendole dalla unità finita del numero di pochi minuti, a favore di creazioni totali, su basi drammaturgiche e tematiche, sia esse astratte o narrative.


Il nouveau cirque ha tra le proprie basi il lavoro teatrale sul personaggio e un uso interpretativo e non dimostrativo delle tecniche circensi, legando queste alle forme d’arte contemporanee (danza, teatro, musica, poesia, arti plastiche) o a più diretti stimoli estetici e sociali del proprio tempo.


domenica 2 novembre 2008

Quando un clown parla con Dio (ed é pure donna)


Alba Sarraute


Per definire il clown basterebbe dire che deve far ridere. Ma, dalla notte dei tempi, per far ridere il clown si è sempre servito della propria marginalità. Il fool, lo zotico, lo scemo, l’ubriacone, il vagabondo di migliaia di piste, palcoscenici e schermi hanno sempre costruito la loro risata su questa loro marginalità, portandosi dietro un retrogusto amaro. E’ diventata un’ovvietà teorica ed estetica il riflettere sullo sberleffo al potere, sull’energia sovversiva e sulla prepotenza del clown. Ma è la realtà. Però poi il clown si è servito anche di tecnica: per far ridere, si è detto sempre, deve “saper fare” qualcosa.

Alba Sarraute, una delle poche donne clown in giro, aggiorna la sua arte potenziando queste tre basi: la risata, la sovversione, la tecnica. Giovanissima, ha studiato di tutto: musica, canto, acrobazia, danza, teatro, circo.


Il suo recital Mirando a Youkali (titolo e spettacolo evocative del cabaret brechtiano), sta girando per la Spagna. E’ una botta di energia, una riflessione clownesca sull’esistenza a tratti potentissima.

“Vivere con il peso sociale e la paura del fallimento, la perdita dell’innocenza e della libertà. La paura della morte, il dubbio della morte…”

Il clown di Alba é una specie di sopravvissuta ad un mondo sempre più difficile, come del resto tutti i grandi clown lo sono stati. Solo che il mondo di oggi è un vero casino. La maschera di Alba è una silhouette agrodolce, una sorta di aviatore uscito da una fiaba da Piccolo Principe postindustriale, una sorella perduta dei Fratellini ai margini di un disastro nucleare. Suona il sassofono e fa le magie coi guanti da boxe, porta un elmetto da guerra e si trascina dietro un fascio di legni della foresta amazzonica. Canta il rap e il gregoriano, cammina sulle mani, fa le smorfie e le rondate. E’ dolce e graffiante, impacciata e lucida, maldestra e saggia: cosa si vuole di più da un clown?



“Signore, perché non ce lo dici prima, quando decidi che dobbiamo morire?”

Il clown bianco a cui si oppone la derisione di Alba, è il mondo intero: noi spettatori, a cui lancia i propri abiti; il signor Busch (forse il più grande clown bianco di oggi); l’”arte contemporanea”; la chiesa (memorabile il pezzo della confessione); e persino Dio in persona: lo implora, lo prega, gli si confida, lo manda persino affanculo: ma lo fa danzandoglielo, facendo i salti mortali, gli equilibri, o suonando due sassofoni accompagnata dal suo trio di splendidi musicisti.


Il suo spettacolo è costruito mischiando le tecniche circensi, la danza e la musica a testi di Miguel Hernández, Koltés, Rousseau, Saint-Exupéry, Baricco, Brecht, gli indiani del sudamerica. Ma la spontaneità leggera e il gusto del “mestiere” circense la allontanano dai narcisismi del nouveau cirque e le permettono il difficilissimo risultato di essere cruda, struggente, poetica, violenta, tenera e universale. La sua maschera è essenziale, quasi rituale come quella di un indigeno la cui forza è non avere niente.

Universale vuol dire anche che, dopo i saluti finali di questo delirio sulle sorti del mondo, una bambina di circa due anni é salita in scena per darle un bacio.

Quanto avrei voluto vedere questo spettacolo a due anni.

Ho tante volte pensato come l’universalità secolare del clown, quel filo pazzo che passa dalla saggezza intellettuale del fool shakespeariano alla malizia di Charlot, ai virtuosismi di Grock fino a Dario Fo sarebbe potuta sopravvivere dopo di noi nel nostro ignoto futuro: Alba Sarraute ci ha avvicinato la speranza.

“Un giorno il cielo ci cadrà sopra e nessuno se ne accorgerà”.

www.albasarraute.com

martedì 21 ottobre 2008

L'indice dei libri proibiti


Creato nel 1599 dalla Santa Inquisizione, l'Indice dei libri proibiti vietava tutti quei volumi che "inquinavano la fede", mettendo al bando nel corso dei secoli migliaia di nomi da Cartesio a Moravia.
Nei giorni scorsi, durante il Festival del Circo a Latina (che si svolge per la maggior parte con i contributi pubblici destinati alla "promozione dell'arte circense"), sembra che molti abbiano avuto qualche iniziale difficoltà ad acquistare il volume "Storia del Circo" di Raffaele De Ritis. Infatti, presso lo stand dei libri, pare vi sia stata qualche tensione rispetto all'opportunità di esposizione del volume, che però poi ha venduto benissimo lo stesso. Pare anche che in un colloquio pubblico durante lo stesso Festival, il volume sia stato pubblicamente additato non in positivo. Anche questo episodio ha fatto ulteriormente fioccare le vendite, rendendo il libro l'argomento del giorno.
Il motivo? Sembra che alcuni tra i patrocinatori del Festival abbiano trovato offensive alcune citazioni del libro legate alle politiche culturali e gestionali di varie istituzioni.
E' certo che l'autore di questo libro ha le sue opinioni in proposito, espresse nel volume (e articolate secondo dati concreti), pur se non sempre condivisibili. Questo non vuol dire che si sia avuta alcuna intenzione denigratoria e offensiva: se ciò potesse risultare, ci si rammarica. L'autore conferma il proprio rispetto verso tutte le persone e le istituzioni citate, pur non condividendone sempre le strategie. E si scusa senz'altro se nel volume vi possa essere stata qualche superficiale imprecisione non certo voluta, oppure dovuta a sintesi, disposto a qualunque rettifica pubblica su questo blog laddove la minima inesattezza fosse realmente riscontrata.
Si spera però che non sia un peccato se in un mondo piccolo piccolo come quello del circo qualcuno a volte "inquina la fede": anche in una vetusta istituzione come la Chiesa, il Sant'Uffizio é chiuso già dal 1966, dopo il Concilio Vaticano II.
Comunque, finita la vendita "sottobanco" durante il Festival, del cui successo ci rallegriamo (cioè sia della vendita che del Festival), il libro resta disponibile in tutte le librerie.
Anche quelle del Vaticano.

domenica 19 ottobre 2008

La quadratura del circo

Una novità e qualche riflessione sul concetto di "stile" nelle arti circensi

In ogni forma d’arte sarà sempre aperto il dibattito sulla quadratura del cerchio: come rinnovarsi; in che modo cercare un nuovo pubblico senza perdere quello vecchio; come riuscire ad essere attuali senza rinnegare la tradizione; e in tutto questo avere successo di pubblico, di critica e di soldi.
Nelle arti circensi, il circo "tradizionale" ha difficilmente conquistato nuovi pubblici; quello "contemporaneo" ha sempre avuto fatica ad essere universale.
In realtà
la formula é stata spesso trovata da molti innovatori, dotati di cultura, immaginazione, coscienza del passato e senso di apertura e curiosità verso il mondo e la società del momento. Il segreto? Avere una VISIONE. Solo quella dà coraggio, energia, sicurezza. Gli esempi partono dai grandi artefici del circo sovietico, passando per i circhi-rivista italiani degli anni ’70, arrivano al circo Roncalli in Germania, fino a Zingaro, Archaos, o al Soleil. Sono tutti casi in cui la tradizione è stata aggiornata dallo stile del proprio tempo con formule spesso geniali, tanto da creare stili.

Da pochi giorni ha debuttato a Londra uno spettacolo che potrebbe costituire una nuova tappa nella ricerca degli stili in circo: si chiama La Clique, ed è l’evoluzione di una compagnia di cabaret che da anni ha avuto successo in Australia, Stati Uniti e Gran Bretagna. Solo che La Clique, a differenza dei tanti cabaret circensi ormai diffusi nei paesi anglosassoni e tedeschi, non si limita ad un cast di buone attrazioni.

La Clique ha messo insieme i propri artisti secondo un semplicissimo principio, appunto, di stile: quasi naturalmente si sono trovati assieme numeri che strizzano l’occhio a tendenze attuali come il new burlesque, il fetish, la derisione, la riscoperta dei freaks e del bizarre, la decadenza pop e fumettistica, il gioco sull'immaginario gay e lesbo, la comicità moderna.


Per il lancio a Londra, i produttori hanno avuto un’idea geniale: la riapertura dell’Hippodrome, l’ormai abbandonato circo stabile della capitale, in cui ai primi del ‘900 si esibirono i numeri più bizzarri e inusuali (sulla sua storia vedi: www.storiadelcirco.blogspot.com). All’interno dell'enorme spazio teatrale è stata posta una minuscola pista circense rotonda (poco più grande di un tavolo da pranzo, forse la più piccola al mondo) circondata da vecchie sedie di legno: la quadratura del circo, insomma. Come era accaduto nel caso di Roncalli, una confezione legata alla mitologia del passato diventa un vassoio d’argento per le follie di oggi: e così, tra i fantasmi di Houdini, del giovane Chaplin o di ciclisti senza gambe, in questi giorni si esibiscono le icone di quello che potrebbe essere definito il “pop circus” contemporaneo: dalla ormai leggendaria maga Ursula Martinez che fa sparire il fazzoletto nei propri orifizi più remoti, a Capitain Frodo che recita battute mentre passa attraverso racchette da tennis, o alla dominatrice Miss Behave, che ingoia le spade vestita di lattice rosso.


Lo spettacolo sta diventando un caso: per i quotidiani inglesi, unanimi, sembra destinato ad essere il successo teatrale dell’anno: secondo il Times, nei tempi di recessione economica l’umanità decadente e assurda degli artisti circensi e di cabaret, il loro calore e la loro spontaneità, superano la sofisticazione del musical e del teatro.
Che si sia finalmente trovata la formula dell’anti-Soleil?






mercoledì 1 ottobre 2008

Cesare Togni (30/10/1924 - 1/10/2008)


Se dovevo immaginare, in Italia, la figura emblematica del “direttore del circo”, quello dei film e dei racconti, pensavo a Cesare Togni. Fin da bambino, mi colpiva il fatto che a differenza dei vari, pur splendidi direttori superstar non appariva in pista (l’aveva lasciata da tempo, e con successi ineguagliati). Il suo cappello a falde larghe, gli abiti eleganti borghesi, il sigaro, e quel faccione da zio in cui le basette incorniciando il sorriso accattivante, gli regalavano un carisma da Mago di Oz. Dietro questa silhouette da film si poteva stare sicuri che si nascondevano sempre grandi spettacoli, nuove attrazioni, nuove sorprese. Pur nella modestia, aveva tutta la orgogliosa grandeur di chi vuole che ogni sua avventura sia “il più grande spettacolo del mondo”. Ma per Cesare Togni “grande” non voleva dire per forza il circo con più elefanti, più clowns, o tendoni per forza immensi. Certo, era anche quello: adorava il circo all’americana, era forse il suo sogno di sempre. Ma più che questo, credo, per il “Signor Cesare”, il grande circo significava il circo fatto con arte. Con la purezza dell’artigianato familiare che sa diventare in alcuni casi capolavoro, affiancato al fascino di mai banali “attrazioni internazionali”.

Le dinastie italiane ebbero splendidi circhi, tra i più belli al mondo. Ma la formula di Cesare Togni si è avvicinata per me a quella del circo perfetto. Pur avendo creato grandi circhi a tre piste, realizzati con l’eccellenza del grande stile, il direttore Cesare Togni ha per me raggiunto il massimo con il circo puro. Negli anni ’70 e ’80, in cui tutti spaziavano dalla pantomima acquatica all’arca di Noé, dalle riviste luccicanti ai circhi ippodromo, dai pattinatori ai cambi di scenari, il Circo di Cesare Togni era quello con la ricetta più semplice e allo stesso tempo più difficile: una pista rotonda, con una gradinata circolare e confortevole; una famiglia versatile e dal talento unico, dentro e fuori pista; vedettes ospiti a incastonarsi su questo gioiello.

La famiglia di Cesare Togni. Non credo di offendere nessuno se sostengo che in un'epoca fu la più bella e versatile del mondo. Molte altre famiglie italiane, avevano e conservano bellezza e versatilità. Ma sul virtuosismo familiare Cesare Togni era l’unico ad aver costruito la poetica stessa del suo circo: conservando il circo come lo si era fatto sempre “all’italiana”. Solo rammarico: che come una simile famiglia classica e virtuosa, quella di Alexis Gruss, non si fosse seguita una via più profonda di circo d’arte: ma tutto era già splendido e difficile così.

Quello che si fa oggi in provetta al Cirque du Soleil, una troupe di base con artisti ospiti, Cesare Togni lo faceva per natura. Aveva allevato dei figli bellissimi, che da parte di madre avevano ereditato la grazia dei Fratellini. Aveva fatto in modo che imparassero a fare di tutto: lo charivari dei salti, la "battuta", il trampolino, le varianti più inventive sui classici dell’arte equestre o del lavoro con gli elefanti. Una delle pochissime famiglie in cui il lavoro con gli animali ha continuato a fondersi alla perfezione con le qualità acrobatiche. E da artista, Cesare Togni amava gli artisti: regalando al pubblico italiano i migliori. Come trapezista, sarà ricordato per aver compiuto unico al mondo la tripla piroetta al trapezio. E i più grandi trapezisti lavoravano al suo circo. E acrobati, domatori di belve, clowns, equilibristi. Ancora oggi, per un artista dal Sudamerica alla Scandinavia, citare nel proprio curriculum Cesare Togni equivale ad una garanzia pari al Moulin Rouge. Oltre agli artisti, amava il pubblico: lo onorava di spettacoli sempre nuovi, senza mai umiliarlo con proposte deludenti. Sapeva orchestrare campagne pubblicitarie memorabili e brillanti, pur senza ricorrere all’eccesso o al raggiro. Nel settore, trasmetteva un rispetto aristocratico. Pur impegnandosi per i problemi del mondo circense con i suoi colleghi, manteneva una elegante distanza dal loro establishment di cui anzi fu a volte vittima.

Allora, grazie Signor Cesare. Grazie per aver esaltato negli italiani la dignità dell’arte circense. Grazie per aspettare ogni sera l’uscita dell’ultimo spettatore prima di fischiare e rompere le righe del personale di pista sull’attenti. Oggi purtroppo il fischio ha chiamato anche te. Ma su quella pista ci sono i tuoi figli, che stanno diventando maestri bravi come lo eri tu, e che grazie a te trasmettono segreti altrimenti perduti. Ci sono i tuoi nipoti, che stanno diventando artisti belli e bravi come siete sempre stati tutti voi Togni. E v'é infine il tuo nome, che adesso rimarrà davvero scolpito nel tempo: proprio come in quel manifesto che, in un mondo impossibile di pellerossa e tigri, esprimeva tutta la tua giusta fierezza di un grande del circo.

lunedì 22 settembre 2008

E' uscito....




Raffaele De Ritis

STORIA DEL CIRCO
Dagli acrobati egizi al Cirque du Soleil

Bulzoni Editore

580 pagine - Oltre 300 immagini in bianco e nero - 24 tavole a colori – tabelle cronologiche – indice di 1400 nomi di protagonisti e circhi.

Prezzo: 47 Euro Isbn : 978-88-7870-317-9


Nota editoriale
Dagli acrobati egizi al Cirque du Soleil, dai fenomeni di Barnum alle avanguardie, dalle tradizioni orientali alle grandi dinastie italiane…
Il più grande spettacolo del mondo viene studiato per la prima volta in maniera organica seguendone il panorama internazionale, le tecniche, le influenze sociali e culturali, gli scambi con le altre forme artistiche. Grazie al lavoro rigoroso e affascinante di Raffaele De Ritis, si può finalmente ripercorrere la lunga avventura del circo.
L’opera si avvale di una documentazione imponente, basata su fonti di prima mano raccolte negli archivi di tutto il mondo e sull’esperienza diretta dell’autore, testimone privilegiato dei più importanti eventi degli ultimi decenni. Partendo dal mondo antico, attraverso l’universo delle fiere tra Oriente e Occidente, si giunge ai pionieri settecenteschi dell’arte equestre, via via, fino ai circhi stabili delle metropoli ottocentesche e ai mitici tendoni americani, per approdare al circo sovietico e al nouveau cirque.

Storia del circo è un viaggio straordinario che, attraverso lo spazio e il tempo, conduce il lettore alla scoperta di leggendari trapezisti, clown, domatori, giocolieri e cavallerizzi. Nel corso del libro sono rievocate la nascita e il formarsi delle tecniche circensi tra Oriente e Occidente, dalla giocoleria all’acrobazia, dal trapezio all’evoluzione dell’arte del clown. Le forme scenografiche nella loro evoluzione dagli edifici stabili alla forma itinerante. Il secolare rapporto con gli animali. Gli aspetti sociali, economici e manageriali.
Il volume è corredato da centinaia di immagini a colori e in bianco e nero, spesso inedite, tratte dall’archivio personale dell’autore.


Per avere il libro:

-In libreria: disponibile o su ordinazione

-Online su: www.ibs.it, http://libri.dvd.it, www.libreriauniversitaria.it

- In contrassegno presso: www.bulzoni.it/novita.asp Tel 06.491851 bulzoni@bulzoni.it

Costo Sped. Contrassegno: Italia 3 Euro / Europa 9.20 Euro / America 16.70 Euro



venerdì 22 agosto 2008

Buono Sconto di lire 500

Divagazioni sul web e memorie infantili


Finita é l'epoca d'oro dei manifesti circensi, sia quelli magnifici dei grandi illustratori, sia quelli più ingenui e naif dei circhi di provincia: quelli di oggi, uniformati, sono per lo più orrende dimostrazioni di photoshop. Tra gli strumenti nuovi, oggi i circhi di tutto il mondo iniziano a promuoversi anche con i siti web. Per la maggior parte sono bruttini e poco aggiornati. Altri sono fatti molto meglio.
Tra questi, sono capitato sul sito del "Circo di Praga" (che, come scopriremo oltre, é italiano) notandovi un aspetto che non mi risulta affrontato neanche dai migliori circhi stranieri. Infatti in una sezione del sito (www.circodipragacristiani.com) sono illustrate le strutture di accoglienza e trasporto dei loro animali, con dovizia di dettagli tecnici. Lo trovo lodevole, al di là del fatto se sia giusto che gli animali stiano ancora nei circhi o meno.
Ho scoperto inoltre che, nonostante il nome, questo circo appartiene a una branca della famiglia Cristiani, una delle leggendarie dinastie del circo italiano (e poi statunitense). Un'immagine del loro sito mi ha risvegliato alcuni ricordi infantili: infatti questo "Circo di Praga", che come molti circhi di oggi ha ormai infrastrutture degne di un Soleil, é l'evoluzione del "Circo Cristiani Bros." di quando ero piccolo.


Nella mia infantile passione del circo, sono stato nutrito a dosi massicce dei più grandi e sfarzosi spettacoli che negli anni '70 passavano nella mia città, nei quali di tutto e di più si poteva vedere. Ogni tanto però, nelle spiagge vicine, apparivano i manifesti del piccolo "Cristiani bros." (con un inconfondibile elefantino naif) , grazie al quale mi poteva essere garantito il fascino del piccolo circo, fiero del proprio nome e di quello che poteva offrire. Ogni mattina, correvo dalla spiaggia fino al marciapiede bollente appena sentivo passare la macchina con l'altoparlante, per ascoltare le meraviglie decantate. Tra queste, ricordo promesse che stranamente i grandi circhi non mi portavano mai: come "gli indiani lanciatori di coltelli" e i numeri con i rettili. Poi la macchina con l'altoparlante regalava il buono sconto da cinquecento lire. Che con una certa emozione ho rivisto sul sito di questo "Circo di Praga", nella sezione "storia della famiglia Cristiani". E' di certo bello vedere che questa famiglia abbia oggi un grande circo.
Però, perché ora ha bisogno di chiamarsi "Circo di Praga"?

lunedì 4 agosto 2008

Avviso ai naviganti

Una mappa per il "teatro di strada"

Non sappiamo di "teatro di strada" quanto di circo: ne siamo in realtà quasi ignoranti, per quanto sembrino affini le due forme. Ci permettiamo però un post di divagazione, per segnalare l'uscita di un ottimo e forse necessario libro: "Il teatro di strada in Italia. Una piccola trobù corsara: dalle piazze alle piste del circo". Lo ha scritto, con eccellente penna e sicura esperienza, Paolo Stratta. Lo ha pubblicato una emergente ma già brillante e prestigiosa casa editrice teatrale italiana, "Titivillus" (18 euro).





Questo del "teatro di strada" ci appare oggi un campo altamente sdrucciolevole, in cui si possono intrecciare i fili del teatro sperimentale con quelli della furba animazione da villaggio turistico; l'indipendenza creativa dei talenti migliori delle scuole di circo con le vie musicali del busking. E' un settore che, per sua definizione, ha una struttura legislativa difficile, ma é la più appetibile ed efficace per le ormai migliaia di comuni italiani. Se in altri Paesi (Francia, Olanda, Germania, Spagna) é un settore altamente creativo e specifico del teatro, da noi per quanto esteso é spesso fermo ancora alla mera esibizione per platee estive. Ma esiste, e tutto sommato sta bene. In Italia ha preso fiato dalle avanguardie degli anni '70 quando il teatro usciva dai luoghi classici, per poi divenire una forma più popolare e accessibile.
Il libro di Stratta (che é anche gradevole da tenere in mano) ci racconta con rigore accademico ma senza pesantezza tutto quello che c'é da sapere di questo mondo. Costruito sulla metafora marina della nave corsara (citando Fellini), tocca le varie coste di questo mondo: le origini storiche legate alle avanguardie teatrali; le affinità con il linguaggio antico della Commedia dell'Arte; ci smonta poi il teatro di strada spiegandoci come funziona, come si esercita, dove e con quali tecniche; ci offre un bellissimo corredo sull'aspetto giuridico e legislativo. E completa il lavoro con pregevoli soprese: dall'introduzone di Giuliano Scabia, ad un inatteso decalogo di Leo Bassi, a begli album di foto anche a colori, fino ad interviste con protagonisti e affini, da Bustric a Brachetti.
Ma quello che ci ha affascinato di più, se non altro per i nostri interessi, é un capitolo intitolato "Una piccola tempesta: il circo contemporaneo". Ci ha colpito perché in maniera lucida e anche nuova tenta di fare il punto sul senso che ha oggi il circo in Italia, tra l'inarrestabile anacronismo della proposta tradizionale e i tentativi ancora deboli di nuove vie.
Da questo capitolo, e da altri segnali recenti, ci piacerà prossimamente tornare in rotta verso il circo e riaprire un dibattito su queste colonne.

lunedì 14 luglio 2008

Galleria di Funambolika

Un pò d'acqua al nostro mulino.
Funambolika 2008 si è conclusa a Pescara con grande entusiasmo di pubblico: quasi 4000 paganti nelle tre serate, con un record di 2.200 presenze per la serata di gala.
Di seguito, una galleria d scatti di Silvia Mazzotta.













































martedì 24 giugno 2008

Il genio torna in Italia.

Au Revoir Parapluie”: da non perdere a Tivoli
l’ultimissima creazione di James Thierrée




Questo é cirque dell’esistenza: potente nella sua bellezza visiva, ipnotico nel suo ritmo non forzato, capace di divertire ma più memorabile per la sua profondità e ricchezza di sentimenti. Variety magazine


Dopo appena pochi mesi, riecco un’apparizione di James Thierrée nel nostro Paese. James, lo ricordiamo per i distrattissimi, è l’idolo del nostro blog e il figlio maggiore di Jean-Baptiste Thierrée e Victoria Chaplin. Acrobata, mimo, attore, danzatore, musicista, regista, è per noi il prototipo dell’artista classico di circo degno della propria epoca. Il più antico e il più moderno di tutti. Senza etichette e senza pretesa altra che stupire ed emozionare tutti.



Au revoir parapluie”, l’ultimo spettacolo della compagnia di James, in un anno ha già girato per tre continenti e verrà presentato in prima (e per ora unica) data italiana al Festival di Villa Adriana a Tivoli: 26, 27 e 28 Giugno 2008 (cioè da dopodomani).

Abbiamo rubato e tradotto alcuni stralci da un’interessante ed ampia intervista rilascata da James a Time Out Chicago nello scorso Autunno. Assieme ad una galleria fotografica dello spettacolo, vi offriamo anche un frammento video della prima londinese dello spettacolo.



Spettacoli, storie e personaggi

Penso in termini di atmosfera e dinamiche fisiche (….). I personaggi sono forti, semplici in realtà. Per uno show senza parole, mi piace giocare con il racconto, ma senza mai caderci dentro perché so che non è il mio scopo. Io sono nel linguaggio dell’inconscio. Il pubblico proietta le proprie fantasie o speranze su queste immagini. Cerco di non superare mai il confine e iniziare a dire “allora, questo parla di un uomo che…”. Resto appena nell’area dove definisco i personaggi (…). Sembrano avere ostacoli, rapporti emotivi, e basta. Non cerco di spingermi nella precisazione. E qualcuno resta frustrato: “ma allora di che parla la storia?”



Scena e accessori

Disegno io la scena (…). Tutto deve essere utile. Non posso avere una scena che sembra bella ma non ci puoi lavorare vicino. Mi serve una scena su cui ci si possa arrampicare. Essere sicuro che si possa usare in vari modi. Tutto sembra poter subire una metamorfosi. Nulla è quello che sembra. Può essere una sedia, ma diventa un costume. Può essere un costume ma poi diventa un non so cosa, un’arma...


Sul Cirque du Soleil

Penso che abbiano meravigliosi artisti. Ma a volte mi rende triste non “vedere” questi artisti, coperti da una patina di design, musica e marketing. Non dico che il successo economico sia un male, solo che così perdi la fragilità, perdi il rischio della proposta artistica. E’ come quando vedi un bel film di Hollywood, perfetto in tutto, e poi esci dal cinema ma niente ti è rimasto. Però ti è piaciuto mentre lo guardavi.



Chaplin

Ritorna sempre. E non posso negarlo. Non posso dire che non ci sia. Tutto quello che posso dire è che non c’è un lavoro sopra (…) E’ solo che integro tutto quello che ho dietro, incosciamente o per via genetica (…). Ma da dovunque ciò venga, noi siamo il risultato di un insieme di cose. E le lascio venire fuori.



Tre generazioni di artisti

E’ bello il fatto che un’arte scorra attraverso le generazioni, che si sia fabbricanti di violini o artisti di teatro…Alla base c’è la conoscenza e l’amore di un’arte. (…). Comunque non puoi starci sempre a pensare sopra. Devi proiettarti nel futuro. Devi ascoltare il mondo come è oggi, e tentare di reagire ad esso. E poi stare in sincronia con la tua vita e identità. E tutto questo si deve sentire come un flusso, qualcosa che suoni giusto. Se suona giusto, va bene.




sabato 14 giugno 2008

Il circo degli zingari

Si trova da stasera in Italia il minuscolo circo gitano Romanès. Lo ha fondato Alexander Romanés: l’unica persona al mondo che invece di scappare col circo circo è scappato dal circo. E’ stato prima circense (la sua famiglia circense, Bouglione, è la più grande in Francia), poi musicista, poi zingaro, poi scrittore e infine, mettendo insieme tutte queste cose, diventando ancora una volta circense, seppur a modo suo. Ha fondato questo circo rattoppato nel ’94, tra oscuri cortili e piazzette di Parigi, diventando un successo culturale. I suoi libri di racconti e poesie sono contesi dall’élite degli editori di alta letteratura.


A differenza dei circensi, che generalmente disprezzano gli zingari, Romanés vive ormai in mezzo alle comunità gitane. La Festa del circo contempoeraneo di Brescia, in piena cultura leghista e romofoba, ha piazzato per due settimane un vero e proprio villaggio zingaro, con un abile contro-marketing culturale. Nessuno ancora gli ha dato fuoco, anzi, sembra che verranno tutti a vedere i numeri, ad applaudire i musicisti e a sentire le canzoni della zingara Delia, la moglie di Romanès.

Un misto di furbizia, candore, paraculismo, poesia, genio.

Il circoRomanès con lo spettacolo “La regina delle pozzanghere” è a Brescia dal 14 al 22 Giugno, poi al Festival di Mantova fino al 29.

Vi regaliamo qualche stralcio dai libri di Alexandre Romanés (ancora inediti in Italia, dunque traduzione nostra), e alla fine un estratto video del loro circo.



Vengo da una famiglia di mostratori d’orsi. Mio bisnonno aveva tre mogli e un orso. La scocciatura, diceva, è l’orso.

Mio cugino Sampion è furioso: mi ha sentito dire alla radio che la nostra famiglia è gitana.. Gli prometto di dire d’ora in poi che tutta la nostra famiglia è gitana tranne mio cugion Sampion.

Il romanès è una lingua di sopravvivenza. Come una scialuppa con il minimo per mangiare e bere se la nave affonda.

Per i gitani due cose sono importanti: il sangue e l’oro.

Il circo Romanés non è un’impresa di spettacolo. Meno convenzionale, più semplice e caloroso. Il nostro obiettivo: arrivare a mangiare.

Si dovrebbero avere due vite: una per imparare, l’altra per vivere.

Dio, dare e cielo in gitano sono la stessa parola.

La chiesa è bizzarra. Ci parla sempre del Papa e mai del Cristo.

I tre ingredienti che colorano la mia vita e i miei versi: le mie cinque figlie, il cielo e Dio.

Io, che ero così misogino, faccio solo figlie femmine. Dio mi ha dato una buona lezione che meritavo, e mi ha fatto un grande regalo che non meritavo.

La mia idea, creando un circo, era di viverci, mangiare e mettere il gasolio nel camion. E’ qualcosa di vero, di non fabbricato. E’ piccolo, una musica bella, ininterrotta. Abbiamo rotto le convenzioni del circo come quella di far apparire un numero ogni otto minuti. Lo spettacolo è lavorato nella continuità.

Un giorno incontro un amico, mi dice: “sono veramente sbalordito di vederti tornare a fare il circo”. “Perché?” – “Ti avevo sempre creduto intelligente”.


Cambiare il corso dei fiumi,

catalogare le stelle,

camminare dritto,

abbassare la testa,

dire di sì.

Forse che io

Li obbligo

A guardare il cielo?


lunedì 9 giugno 2008

Funambolika 2008 (Pescara, 5-8 Luglio)


Torna per il secondo anno FUNAMBOLIKA: dal 5 all'8 Luglio, sempre a cura di Raffaele De Ritis, nella splendida cornice all'aperto del Teatro d'Annunzio di Pescara, nel cartellone di una delle più grandi e prestigiose arene estive italiane che, capace di 1800 posti, ospita da 56 anni le massime star mondiali del jazz, della danza e del teatro.

Nel corso della prima edizione 2007, Funambolika aveva ospitato David Larible, Jango Edwards e la Scuola di Cirko di Torino.

Tra gli ospiti di quest’anno lo straordinario Duel (Laurent Cirade – Paul Staicu), rivelazione dell’ultimo Festival di Avignone, coppia di musicisti da camera che sconfinano nella comicità più esilarante (5 Luglio); dagli Usa Peter Shub, tra i caposcuola mondiali dei clown di oggi con il suo recital (7 Luglio) per la prima volta in Italia; e infine un’altra esclusiva nazionale: Andrei Jigalov, il più grande clown del circo russo, al centro di Gran Gala du Cirque (8 Luglio): una serata di stelle che riunirà acrobati del Cirque du Soleil, della Scuola di Kiev e del Circo di Mosca. Tra essi, il giocoliere Boul, l’equilibrista Maxim Popazov, la contorsionista-nuotatrice Aqua.

Tutte le proposte sono in esclusiva nazionale.

Gli spettacoli si terranno a Pescara, Teatro D’Annunzio – Lungomare C.Colombo, alle ore 21.15

Organizzazione: Ente Manifestazioni Pescaresi. Informazioni e biglietteria: 085-6920057 – 4221463


Programma generale e contatti stampa: www.entemanifestazionipescaresi.it
Il blog di Funambolika: www.funambolika.blogspot.com




giovedì 5 giugno 2008

Asia Soleil 2

Quest'altro spettacolo del Cirque du Soleil debutterà a Disneyland Tokio.
Anche qui in un teatro appositamente costruito.
Debutta il 1 Settembre.





Asia Soleil 1

Uno dei nuovi spettacoli del Cirque du Soleil: ZAIA.
In un apposito teatro costruito a Macao (Cina).
Per chi ci vuole andare, gli spettacoli iniziano dal 28 Agosto 2008.









giovedì 22 maggio 2008

Ancora in memoria

Altri due omaggi a "Sciali"

Due altri ricordi, molto più autorevoli del nostro, im memoria di Carlo Colombaioni.

È spuntata una nuova stella su nel cielo…quella di Carlo Colombaioni. Giovedì, 15 maggio, Carlo ha deciso di farci l’ultimo scherzo della sua vita terrena. Ci ha lasciato e ora ci guarda dall’alto, ride di noi con quel suo modo di ridere sotto i baffi e ci prende in giro come al suo solito. Ci mancherà quel suo sguardo da bambino curioso e indisponente. Carlo, però non ti illudere… non ti libererai così facilmente di noi, perché verremo a romperti i coglioni presto (ma non troppo) anche lì dove ora tu ti trovi.
Ti vogliamo bene.

Jango Edwards - Peter Ercolano

Con la scomparsa di Carlo Colombaioni perdiamo un vero Maestro innovatore dell'arte clownesca: Ciali ,come lo chiamavamo in famiglia( gia' forse poche persone sanno che discendiamo dalla stessa stirpe.....i Travaglia
che include famiglie prestigiose :Dell'Acqua ,Huesca , Martini ,Larible e naturalmente Colombaioni) era un talento di quelli che nascono raramente ,quando era sul palcoscenico aveva il potere di farlo suo, con una mimica
ed un timing che raramente ho visto in un'altro Clown.
Da oggi tutti i Clowns devono sentirsi piu' soli.... ciao Ciali

David Larible



courtesy Circusfans Italia

sabato 17 maggio 2008

Carlo Colombaioni ci ha lasciati


Quando un clown fa la rivoluzione




“Signore e signori buonasera, bonsoir, good evening, guten abend. Io sono Alberto, del duo Colombaioni, my name is Alberto. Mio fratello si chiama Carlo, ma purtroppo stasera è in ritardo. Mon frére n’est pas là. Scusandomi per l’inconveniente, nel frattempo…”.


La gente del circo ha il carisma scolpito nella faccia. Sono facce fatte di pieghe, rughe, con due occhi profondi profondi in mezzo, che si trasmettono da chissà quante generazioni. Occhi capaci di annusare il pubblico, e capire di sera in sera quello che il pubblico vuole e come riuscire a darglielo. Quello che i teatranti chiamano “presenza scenica”, per quelli del circo è semplicemente l’essere, l’esistere.

Bravo. Clap clap. Bravoooo!!!

Ahooooo….

Alberto! Ma che ci fai là sopra?


E in vita mia non ho mai visto una presenza scenica più travolgente di Carlo Colombaioni (anzi Charly, o meglio ancora “Sciali”, per i suoi).

Cosa fai in platea, Carlo? Vieni qua a lavorare…

Che?

La-vo-ra-re.

Chi?

Tu.

Io.

Si.

No.

Farlo entrare in scena e mettere una bomba in un teatro, non faceva differenza. Carlo poteva esplodere in platea, sul palcoscenico, in mezzo al pubblico, dai camerini. L’assenza totale di trucco e costume ti spiazzava, rompeva tutte le regole, tutti i ruoli dello spettacolo. E’ come se in un match di boxe uno passa continuamente da sfidante, ad arbitro, a spettatore. Non sapevi più dov’era la maschera e dove l’attore, se vedevi un attore o un pagliaccio, un vecchio o un bambino.

Che pubblico. Mamma mia, che brutte facce…

Era un mitragliatore che per novanta minuti sparava a zero in qualunque direzione. Un terrorista della risata.

E poi la voce. Quella voce acuta, stridula, e poi bassa, quella che hanno un po’ tutti i pagliacci, che se la sono rotta già tre generazioni prima di nascere, da quando in piazza o nelle piste non esistevano ancora i microfoni. Ma a differenza che per i suoi colleghi, la cui voce sa spesso di routine e a volte un po’ di tristezza, la voce di Sciali era uno strumento d’arte e di gioia. Uno stradivari della felicità. Uno strumento raffinato e al contempo rozzo, puntuato di intonazioni e gridolini da clown in grado di esprimere al meglio la gioia, la vendetta, la cattiveria, la soddisfazione, la sorpresa ebete e quella furba del villano.

Il pagliaccio Sciali era quello che deve essere il clown fin dalle origini dell’umanità, senza i fronzoli delle varie culture. Sporco e rozzo, ma anche poetico e virtuoso. Ingenuo e scaltro. Cattivo, miserabile e disperato. Giocoso e prepotente. E, insomma, tutto quello che per mitologia si vorrebe sempre fosse il clown.

Non a caso è stato lui (col fratello Nani, va detto) a folgorare Fellini e Fo sulla centralità del clown negli anni in cui si reinventava il teatro.

E qui Carlo Colombaioni ha giocato un ruolo di portata mondiale; io mi permetto di dire una rivoluzione nelle arti sceniche.

Applauso.
Applauso! Ahò…
Ma che lingua parlano questi?
Madammm…Mister…Applauso!!!
La crisi del teatro.


Attorno al ’68, quando i linguaggi scenici si mettevano in discussione, gli unici a restare fermi nei loro codici sono stati quelli del circo. Gli unici della tradizione a esplorare nuove forme sono stati Annie Fratellini, Alexis Gruss ma prima ancora Carlo Colombaioni. Unendosi all’esempio dei giovani “di fuori”, come Jean Baptiste Thierrée, Jerome Savary, Jango Edwards, eccetera. Con un coraggio enorme, ma forse anche con la giusta astuzia, a quell’epoca, Carlo ha rifiutato la logica del circo e le sue costrizioni culturali. Ma non buttandola via: capovolgendola.Cambiandogli il contesto. Col cognato Alberto ha continuato a fare le stesse cose del circo, uguali, ma al teatro. Rinunciando a trucco, costume e naso rosso.
Un po’ come un prete che getta la tonaca alle ortiche, che rifiuta i rigori della chiesa per andare a predicare per fatti suoi. E’ stato un trionfo mondiale. Per molti, certo, l’ennesima metafora di librazione contro costrizioni e potere. Ma per i più l’invenzione di un nuovo linguaggio artistico senza rinnegare il vecchio. Ed è stato un trionfo in tutto il mondo.

Signorina, bonsoir….Sa, io abito a Roma, proprio vicino…

Carlo, ma che fai seduto là?

Organizzo le vacanze…

Come per tutti i grandi artisti, la cosa più affascinanate non era il repertorio: si trattava di adattamenti delle misere farse e delle stesse “entratine” da circo di periferia, seppur con varianti magistrali. Era l’energia nell’interpretazione. Energia, energia. Vedere Carlo esibirsi era come Pollock che dipinge, Glen Gould al piano o Chet Baker soffiare nella tromba. Energia allucinata, creativa, completamente folle, apparentemente fuori controllo. Libertà improvvisativa costruita sul rigore. Un corpo e una voce che pervadevano tutta la sala, massacravano a morte qualunque teoria di “quarta parete”. Quella forza che ti piacerebbe vedere sempre a teatro, quella forza scenica che ti solleva dalla poltrona, ti prende allegramente a sberle e ti ci ributta dentro.

Signori, la ghigliottina!
Tracchete, tracchete tracchete.
Trrrrrrrrracchete…
Tracchete, tracchete e tracchete…Trach…

Carlo! Mi hai tagliato la mano!

Vado a raccoglierla: non è la mano, ma l’orologio che mi interessa!

Per me la cosa più bella dei Colombaioni, Alberto e Carlo, era la sconvolgente universalità. I loro spettacoli erano recitati in italiano. A Parigi, Londra, Tokio, Oslo. E la gente si ammazzava dal ridere, ovunque. Ho cercato più volte di studiare, capire, come fosse possibile ridurre il linguaggio ad una forma che potesse divertire tutti allo stesso modo. Potrebbe farmi ridere un duo che parla in giapponese? Li ho scrutati, studiati, e non l’ho mai capito. Soltanto, quando guardavi Alberto e Carlo capivi più di mille libri cosa significa “Commedia dell’Arte”.

E chi sarebbe questo?

Amleto.

Chi?!

Amleto, principe di Danimarca!

Che brutta faccia.

Adesso non ci sono più, nessuno dei due. La rivoluzione che Alberto e Carlo hanno portato al mondo del circo, del teatro, e del clown è di quelle che arrivano una volta in un secolo. Hanno amplificato in modo enorme il significato della parola clown, e senza snaturare la tradizione. Ci hanno aggiunto strumenti fondamentali al clown di oggi, come la partecipazione del pubblico agli sketches. Hanno divulgato quest’arte a centinaia di migliaia di persone per le quali il clown era rimasta l’icona dispregiativa di un circo decadente. Lo hanno restituito al teatro.

Vogliamo ricordare la loro ultima spiazzante immagine alla fine di ogni spettacolo, quando genialmente, dopo essersi esibiti in borghese, si sedevano al tavolino del trucco e si mettevano nasi rossi, matita e parrucche per andarsene di scena.
Ci sia concessa un po’ di retorica: vederli uscire di scena così per l’ultima volta, per andare a raggiungere doverosamente vestiti da pagliacci, tra le nuvole, Grock, i Fratellini, Charlie Rivel e tutti gli altri. Perché, come disse qualcuno quando morì Charlot, anche gli angeli hanno bisogno di ridere.


Carlo, stasera andiamo al ristorante, e paghi tu.

Chi?

Tu.

Io?

Si.

Si. No.


Carlo e Alberto in video nel "Guglielmo Tell", la loro versione del più antico numero di clown del mondo.