La meraviglia è un’emozione di cui si ha volte pudore: è effimera, superflua, infantile; ancor più nella società dei sensi di colpa, delle religioni perse in schermaglie con le scienze, della razionalità e delle contraddizioni.
Nella società proibizionista in cui chi
teme i gay va a travestiti, chi bandisce le droghe ne fa uso, chi è vegetariano domina col guinzaglio il cane, non v'é ruolo per la natura sfrontata, e per la meraviglia del suo mistero. L’immagine incontrollata di una giraffa in giro per la città è dunque un tabù,
che l’epilogo tragico esalta. Senza lo
zelo di anestesisti da film d’azione, sarebbe rimasta strascico imprevisto delle
ormai epurate parate estemporanee dei circhi per le strade, attrazione come lo
sono ancora i morbosi capannelli dinanzi a qualunque catastrofe urbana.
La meraviglia delle parate e di certi incidenti era un tempo necessaria a capovolgere il nostro grigiore. La bestia in città ci ricordava che le barriere contro natura non erano quelle dove l'uomo convive ancora con l'animale, ma le strade e i palazzi con i quali quella natura abbiamo violato. Certo, qualche pompiere salva ancora i gatti sugli alberi; ma avremmo ancora bisogno che ogni tanto un elefante sfondi un negozio di frutta, o che una Domenica del Corriere trasfiguri fiabescamente un gorilla dentro una chiesa; poiché è meno interessante vivere senza che qualcuno ci forzi, ogni tanto, a mettere in discussione la linearità del nostro vivere e che lo sterco d'elefante dissipi il tanfo della nostra ipocrisia.
La meraviglia delle parate e di certi incidenti era un tempo necessaria a capovolgere il nostro grigiore. La bestia in città ci ricordava che le barriere contro natura non erano quelle dove l'uomo convive ancora con l'animale, ma le strade e i palazzi con i quali quella natura abbiamo violato. Certo, qualche pompiere salva ancora i gatti sugli alberi; ma avremmo ancora bisogno che ogni tanto un elefante sfondi un negozio di frutta, o che una Domenica del Corriere trasfiguri fiabescamente un gorilla dentro una chiesa; poiché è meno interessante vivere senza che qualcuno ci forzi, ogni tanto, a mettere in discussione la linearità del nostro vivere e che lo sterco d'elefante dissipi il tanfo della nostra ipocrisia.
La morte accidentale di un animale altrove da un mattatoio suscita in noi pietas perversamente maggiore di quella per guerre lontane. Se ne giustifica l'errore umano maldestro, ma si rafforza la condanna al tabù
dell’animale asservito, espiando secoli di sterminio.
Infatti di fianco a questa
società dei sensi di colpa ce n’è da sempre un’altra.
C’è la società dei giullari, della
meraviglia e del mistero, quella che non è legata a un territorio ma che da sempre sta ovunque e supera
qualunque ostacolo, trasversale per necessità a ciò che è legittimo e ciò che non
lo è. Il nomadismo circense ha perso da tempo pittoreschi strascichi di
illegalità, sebbene restino alcuni meccanismi di cultura dell’inganno,
affascinanti quanto irritanti, a partire dall’artificio mimetico di quello che più identifica chiunque: il nome, qui all’infinito
declinato, mercificato e rinnegato. Anche per questi misteri identitari il giullare
forse non si scrollerà mai l’involucro di diffidenza che ne accompagna
l’errare.
Il moderno tabù si morde la coda
sorvolando ippodromi, negozi di acquari
o fabbriche di morte come allevamenti e concerie, per lasciare sui circhi l'anatema dello scandalo, con l’arma potente e frettolosa dell’emotività, il suo arsenale di retorica,
antropomorfismo e luoghi comuni di etologia da ciclostile, in bilico tra buona
fede e secondi fini.
Perché? La risposta è forse che i
circensi, non sono considerati parte della società. I giullari sono un atavico corpo
estraneo, incontrollabile. Ma necessario. Hanno per natura l’imprevisto, per
vocazione la trasgressione dalla realtà, la meraviglia, l’eccesso, il legame
ancora estremo con la natura, in una sincerità che abbiamo
perso e che forse temiamo. Perciò fa comodo credere ancora che il circo strappi
le giraffe alla savana. Perciò il circo va cacciato dalla città, come accadeva
con i giullari che dicevano una verità di troppo. Se la città nasconde un
omicida, è al circo che si prelevano le prime impronte; se scomparivano i
bambini, per secoli al circo li si andavano a cercare.
Il circo è tollerato nel suo
messaggio di confusione: dice che viene da Mosca o da Parigi e nessuno saprà mai se é vero. Ma in ciò è l’ultimo avamposto di un valore importante: il dubbio, la
messa in discussione della verità. E’ un ruolo sciamanico di inganno, che la società non
deve perdere. Se scompariranno la puzza di letame,
le facce con centomila chilometri per ogni ruga, le insegne posticce e le fruste, si sarà
forse espiata qualche colpa secolare. Ma non si smetterà di disboscare foreste, abbattere elefanti e sfoggiare borsette di giraffa. E la società avrà perso, con il circo, uno degli ultimi suoi legami con
la natura, la meraviglia e il mistero.